Report/analisi da un compagno del Pcm Italy, attualmente in Tunisia
Introduzione
Il 14 Gennaio scorso, in occasione del quinto anniversario della rivolta popolare in Tunisia (erroneamente definita da più parti “rivoluzione”) scrivevamo in maniera provocatoria che per questo anniversario in Tunisia “non è successo niente”. Mentre infatti il “nuovo regime” (a cui capo sta il più vecchio politico tunisino, l’ultraottantenne Beji Caid Essebsi, il quale ha iniziato la propria carriera politica sotto le istituzioni coloniali) festeggiava l’anniversario nel sontuoso Palazzo di Cartagine (sede della presidenza della repubblica) il resto del paese proseguiva la normale vita quotidiana senza che vi fosse alcun clima festoso.
Nella capitale, unico evento degno di nota, l’organizzazione dei “familiari dei martiri e dei feriti della rivoluzione” inscenava una protesta in Avenue Bourguiba a Tunisi di fronte il Ministero degli Interni, anche qui “niente di nuovo”.
La vera riappropriazione degli ideali e delle rivendicazioni della rivolta del 2010/2011 e mai soddisfatti dal “nuovo” regime è avvenuta dopo 5 anni e 2 giorni…
Scrivevamo sempre il 14 gennaio scorso che “il fuoco cova sotto la cenere” niente di più profetico…
Il suicidio dell’ennesimo disoccupato (nonché diplomato) a causa dell’ennesima ingiustizia di uno stato
corrotto (vedi nostro articolo precedente Qui) ha fatto si che scoccasse la scintilla e che il fuoco si ravvivasse.
La rabbia dei giovani di Kasserine è dunque esplosa.
È importante ricordare che nel dicembre 2010, dopo il suicidio di Mohamed Bouazizi, Kasserine fu una delle prime città a unirsi a Sidi Bouzid nella rivolta contro il regime di Ben Ali. Finita la rivolta Kasserine in particolare (regione emarginata economicamente e socialmente sin dall’indipendenza del 1956) ha subito 5 anni di false promesse continuando ad avere uno dei più alti tassi di disoccupazione e in particolare tra i giovani. Lo stesso dicasi per tutte le regioni centrali, meridionali e interne del paese in cui, come molti dicono, non è cambiato niente da 5 anni a questa parte e, aggiungiamo noi, dal 1956 ad oggi… certo negli ultimi 5 anni ciò è avvenuto all’interno della cornice della nuova costituzione definita da molti “avanzata in materia di diritti” e la “più liberale della regione”. Ammesso e non concesso che la categoria “liberale” debba essere considerata obbligatoriamente un asse di valori positivo.
Breve cronologia
Fin da subito i giovani hanno assediato la sede del governatorato di Kasserine chiedendo giustizia e la fine della corruzione, della disoccupazione e della discriminazione nel governatorato; come da copione il nuovo governo democratico e liberale ha inviato il proprio apparato repressivo (polizia ed esercito) per sgomberare i manifestanti.
Di conseguenza la rivolta si è estesa ad altre municipalità del governatorato, non è servito
imporre il coprifuoco dalle 18 al mattino: le strade di Kasserine sono rimaste animate tutta la notte, le principali vie d’accesso bloccate con continue sassaiole contro la polizia arrivata in forze dalla capitale e da altri governatorati.
Il 20 Gennaio notte a Kasserine, durante gli scontri una pattuglia di polizia mentre era intenta a perseguire i giovani rivoltosi non ha avuto la meglio, la macchina della polizia è stata rovesciata dai manifestanti ed uno dei suoi occupanti è morto in seguito alle ferite riportate. Lo stesso giorno molti manifestanti avevano denunciato l’utilizzo di armi da fuoco da parte della polizia.
Sempre a Kasserine i manifestanti hanno dato fuoco alla sede di Nidaa Tounes.
Insieme al “bastone” il governo ha tentato la carta della “carota” annunciando, il 20 Gennaio, alcune misure quali:
1) La creazione di 5.000 posti di lavoro nel governatorato di Kasserine
2) Il finanziamento di 500 non meglio precisati progetti per 6 milioni di dinari (quasi 3 milioni di euro)
3) La creazione di una commissione d’inchiesta circa la corruzione (commissioni simili più volte promesse negli ultimi 5 anni e mai realizzate)
4) La privatizzazione delle terre ad uso comunitario (misura altamente anti-popolare)
5) La creazione di nuove società di impresa con un capitale minimo di 150.000 dinari per il miglioramento delle infrastrutture.
Questo pacchetto oltre ad essere contraddittorio e poco credibile in alcune sue parti (punti 3 e 4) nel complesso ricorda molto il proclama demagogico di Ben Ali all’indomani della rivolta del 2010/2011 di voler creare nuovi posti di lavoro (tentativo fallito).
Ma la tragedia che questa seconda volta si ripresenta come farsa assumerà tratti realmente ridicoli: neanche 24 ore dopo infatti il governo annuncia che vi è stato un “errore di comunicazione” e che le 5.000 assunzioni annunciate il giorno prima si riducono a 1.410 e su tutto il territorio nazionale!!
La rivolta a questo punto si è diffusa in altre città di altri governatorati, in particolare in quelli limitrofi e via via in quelli di tutto il paese.
Sidi Bouzid: a Meknassi e Menzel Bouzayane e forti scontri con la polizia nella città di Sidi Bouzid, a Mazouna il presidente della delegazione (provincia) si da alla fuga. Blocchi della linea ferroviaria, interdetto passaggio a treni di viaggiatori nonché quelli che trasportano i fosfati.
Gafsa: blocchi stradali nelle città di Gafsa e Redeyef.
Kairouan: scontri tra manifestanti e polizia.
Jendouba: i manifestanti irrompono nella sede del governatorato ma il governatore si è già dato alla fuga.
Kef: commissariato di polizia di Jerissa dato alle fiamme.
Beja: scontri con la polizia.
Zaghouan: blocchi stradali a El Fahes.
Medenine: in particolare animata dai giovani liceali di Ben Guardane.
Gabès: a El Hamma è stata assaltata la sede della guardia nazionale (corpo dell’esercito), nella città di Gabès blocchi stradali.
Kebili: dati alle fiamme i commissariati di polizia di Kebili, Douz e Souk Lahad con fitti lanci di molotov, inoltre in quest’ultima cittadina bloccata la strada che collega Kebili a Tozeur.
Tozeur: a Dguech dato alle fiamme il commissariato di polizia e assaltata la sede del governatorato.
Sfax: diffuse proteste dei lavoratori nella città di Sfax con blocchi stradali nella delegazione di Sekhira interrompendo i collegamenti stradali tra Sfax e Gabès a sud e Kairouan a nord-ovest.
Tunisi: manifestazioni in centro città, occupata la sede del governatorato e scontri nei sobborghi popolari di Ettadhamen e Kram.
Mahdia: occupata la sede del governatorato.
Sousse: nela delegazione di Enfidha i manifestanti ne occupano la sede, evacuate le forze dell’ordine.
Scontri anche nei governatorati di Hammamet, Ben Arous, Ariana e Tataouine.
Non si contano i blocchi stradali avvenuti anche nei più piccoli e sperduti centri abitati.
In totale le proteste hanno colpito almeno 20 governatorati su 24.
Ieri il ministro dell’interno ha dato un bilancio ufficiale informandoci che oltre all’agente morto a Kasserine, altri 41 sono stati feriti in tutto il paese; il giorno prima il numero degli agenti feriti era “magicamente” superiore (59) dalle nostre informazioni sono almeno un centinaio. Inoltre una decina di veicoli della polizia sono stati dati alle fiamme
Per quanto riguarda i manifestanti, purtroppo in queste occasioni il numero dei feriti è più elevato, probabilmente di diverse centinaia (al di sotto delle 500 unità); inoltre ieri 16 sono stati arrestati a Ettadhamen e 10 a Kairouan. Purtroppo in questi giorni un altro giovane si è dato fuoco a Sfax……
Mentre il paese era nel caos il primi ministro Essid si trovava in Svizzera per partecipare al Forum Economico Mondiale di Davos sullo sviluppo (ironia della sorte) è stato richiamato in patria repentinamente in modo da poter presiedere un consiglio dei ministri straordinario.
Infine ieri, 22 Gennaio, è stato dichiarato il coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle 20:00 alle 05:00. Tutte le principali città sono presidiate dall’esercito.
Dalle prime notizie il coprifuoco non è stato rispettato in alcuni sobborghi di Tunisi (Ettadhamen e Kram) e a Kasserine, con conseguenti scontri con la polizia inoltre nel governatorato di Sidi Bouzid una cinquantina di giovani ha attaccato a colpi di pietre e molotov le caserme della guardia nazionale a Ben Aoun e Regueb; a Gabes invece 32 giovani sono stati arrestati mentre provavano a riorganizzare i blocchi stradali anche ieri notte. In tutto il paese quasi 300 persone sono state arrestate per non aver rispettato il coprifuoco.
La risposta dello stato nel suo complesso
Analizzeremo brevemente le posizioni politiche e le azioni delle componenti dello stato nel suo complesso (presidenza della repubblica, governo, partiti politici al potere e all’opposizione, forze armate e polizia)
Innanzitutto, le categorie politiche sono importanti, in tal senso è necessario ripetere ancora una volta che nel 2010/2011 ciò che ha avuto luogo è stata una grandiosa Rivolta Popolare spontanea che ha avuto il merito di cacciare nel giro di un mese il regime ultradecennale ed autocratico di Ben Ali che si basava su un forte stato di polizia. Non è stata una Rivoluzione che presuppone non solo la caduta di un governo ma la distruzione della forma statuale vigente quale involucro di un particolare interesse di una determinata classe sociale, di un particolare modo di produzione economico al servizio dell’interesse di quella determinata classe sociale, di particolari istituzioni armate, di giustizia ecc. al servizio di quella determinata classe sociale.
In seguito agli avvenimenti del 2010/2011 è stata eletta un’assemblea costituente che ha redatto la famosa nuova costituzione democratica all’interno della cornice della stessa organizzazione statale:
La classe sociale al potere è sempre la stessa: una borghesia compradora (in affari con l’imperialismo internazionale in particolare francese e americano, ma anche italiano e tedesco per quanto riguarda la Tunisia) e burocratica (basata sulla gestione delle briciole provenienti dagli affari con l’imperialismo che le permettono di vivere in maniera parassitaria e dalla gestione dello stato: la famosa corruzione).
La Rivolta Popolare ha solo modificato la composizione dei rappresentanti politici di essa: prima della rivolta esclusivamente dallo RCD (il partito di Ben Ali), dopo la rivolta da Nidaa Tounes (il nuovo nome dello RCD) e da Ennahdha (i fratelli musulmani in Tunisia più legati ai paesi del Golfo persico che all’occidente[1]).
Di conseguenza il modo di produzione economica è rimasto invariato e quindi al servizio dell’interesse della stessa classe sociale.
Le istituzioni dello stato sono le stesse di prima: forze armate e polizia, giustizia ecc.
Tutto questo spiega perché “in 5 anni non è cambiato niente”: la corruzione non è stata scalfita, il tasso di disoccupazione lungi dal diminuire e aumentato, idem l’inflazione con conseguente aumento dei prezzi che hanno colpito il potere d’acquisto del popolo che si è impoverito, lo stato di polizia è vivo e vegeto, la giustizia persegue gli stessi meccanismi anti-popolari e a copertura dei poteri dello stato pre-rivolta.
L’unica "piccola" novità è che a questo meccanismo adesso partecipa anche Ennahdha, ma questa è un’altra storia…
In questo quadro abbiamo già visto qual è stata la risposta immediata del governo Essid (formato da Nidaa Tounes, Ennahdha e altri 2 partiti minori conservatori): demagogia e repressione tramite lo stato di polizia (sgomberi, cariche, fuoco sui manifestanti, utilizzo dell’esercito, utilizzo del coprifuoco ecc.).
In particolare Ennahdha, che si atteggia a forza di “lotta e di governo” (per usare un eufemismo che richiama il revisionismo nostrano, passato ormai alla storia) si appella alla fine dei disordini per “difendere la nostra rivoluzione”, leggi il nostro diritto di arricchirci alle spalle del popolo che ci siamo conquistati dopo la caduta di Ben Ali. Inoltre Ghannouchi, il segretario di Ennahdha, ha fatto appello all’UGTT per mettere un freno alla rivolta data la buona influenza che il sindacato ha su una buona fetta dei lavoratori tunisini.
Per quanto riguarda invece i principali partiti di opposizione al governo, essi sono rappresentati dal CPR di Marzouki (ex presidente provvisorio della repubblica) che ha inneggiato a nuove elezioni nonché ad un governo di unità nazionale. Quindi ad una “santa alleanza” contro la rivolta per poter entrar a far parte del governo; infine il Fronte Popolare che racchiude tutti i partiti della sinistra riformista ha partecipato alle proteste, ma come suo solito con i “guanti bianchi”: ha organizzato i cortei pacifici di solidarietà con Kasserine a Tunisi e Sousse ma ha subito preso le distanze dagli “infiltrati” autori delle “violenze e dei saccheggi” da parte degli “chasseurs”, quelli che i nostri giornali occidentali definiscono comunemente “black block”. Hamma Hammami, principale leader del FP nonché segretario del Partito dei Lavoratori Tunisini (ex PCOT) ha esortato i propri militanti a partecipare alle manifestazione ma non a quelle notturne. Inoltre ha dato alcuni “suggerimenti” di politica economica di natura tipicamente socialdemocratica (addirittura in una versione moderata) come una tassa “eccezionale e congiunturale” sui ricchi una sospensione del pagamento del debito per 3 anni (la cancellazione del debito contratto principalmente dal regime di Ben Ali sarebbe una rivendicazione troppo “estremista” per Hamma Hammami) inoltre ha esortato alla lotta contro il contrabbando, l’economia informale e la corruzione economica e finanziaria.
Teniamo presente che attualmente l’economia informale rappresenta oltre il 50% dell’intera economia del paese e rappresenta un mezzo di sostentamento indispensabile per una buona fetta del popolo tunisino.
La sinistra istituzionale e legalitaria rappresentata dal FP dimostra la sua natura antipopolare puntando il dito contro il cosiddetto settore “informale” e fa propria la retorica del governo che dice di voler combattere (evidentemente solo su un piano elettorale e non di alternativa quanto a proposte politiche e visione del mondo)
Lo stesso UGTT, il principale sindacato tunisino fortemente legato al FP, ha diramato un comunicato dando indicazione ai propri iscritti di unirsi alla rivolta ma formando dei “comitati” per la “difesa dei beni pubblici e privati” in sostanza invita i lavoratori a collaborare con la polizia venendo incontro alle richieste fatte pochi giorni prima dal segretario di Ennahdha.
La ciliegina sulla torta è rappresentata dal “guardiano dell’ordine repubblicano”: l’ultraottantenne presidente della repubblica Essebsi.
Simbolicamente il reale trait d’union tra Protettorato francese – regime bourguibista – regime di Ben Ali – nuovo regime burocratico-compradore e la sintesi del fatto che nessuna “rivoluzione” ha avuto luogo 5 anni fa.
Il suo ruolo fa si che si atteggi a difensore della “rivoluzione” e delle istituzioni “democratiche” e repubblicane.
Come Bourguiba e Ben Ali assume toni paternalistici (“capisco le ragioni dei manifestanti”, “ho intimato al governo di occuparsi del problema della disoccupazione”) a cui si aggiungono minacce contro i giornalisti (“colpevoli” di fomentare la rivolta per il semplice fatto di far conoscere al paese e al mondo cosa sta avvenendo) e l’agitare il pericolo di non ben specificate “forze occulte” che starebbero all’ombra della rivolta con l’interesse di destabilizzare il paese. Più esplicitamente Essebsi ieri in un discorso alla nazione ha agitato lo spauracchio del Daech che approfitterebbe del momento opportuno quale una tale destabilizzazione per mettere piede nel paese dalla Libia.
A rafforzare questa tesi in questi giorni gli uffici d’informazione dei ministeri dell’interno e della difesa hanno moltiplicato i dispacci circa interventi dell’esercito e bombardamenti aerei nella zona del Monte Chambi (dove trovano rifugio alcuni gruppi armati salafiti legati sia a Daech che ad al-Qaeda) sia a scontri avvenuti nei pressi della frontiera libica con contrabbandieri.
Il problema dell’estremismo islamista è reale ma non come viene posto dal governo, ci ritorneremo più avanti… Il punto è che tutte queste istituzioni e partiti di governo cercano di indebolire il fronte della protesta affermando ufficialmente di capirne le ragioni (pur essendone la causa del malcontento) ma aggiungendo subito dopo che i manifestanti sarebbero “infiltrati” da islamisti e che per questo motivo le misure repressive sono fondamentali in primis per difendere i manifestanti stessi e i cittadini.
Queste idee hanno presa su una parte della popolazione in particolare sulla media borghesia delle città del Sahel (Tunisi, Hammamet, Sousse e Monastir) che tendono a identificare i manifestanti in “gente che non vuole lavorare”, “ladri e spacciatori di droga” nonché in “mercenari” pagati da queste forze occulte (gruppi terroristici islamisti e paesi stranieri) e quindi giustificano le misure draconiane per poter continuare a godere della propria “tranquillità” e della “pace sociale”.
Per quanto concerne il ruolo delle forze armate e di polizia, ieri notte hanno arrestato oltre 260 persone per non aver rispettato il copri fuoco seguendo quindi le indicazioni del presidente della repubblica che si era appellato ad esse chiedendo di far rispettare rigidamente il coprifuoco.
La risposta dell’imperialismo
Le potenze mondiali che si riempiono la bocca di “rivoluzioni arabe” a proprio uso e consumo, quando le rivolte sono realmente popolari non esitano ad appoggiare i propri partner d’affari rappresentati dai governi locali. Il giorno prima che Essid rientrasse in patria, il suo omonimo francese Hollande (che in patria ha adottato simili misure draconiane dopo l’attentato di Parigi) ha annunciato un “totale sostegno su tutti i fronti” al governo tunisino concedendo un prestito di 1 miliardo di €. Ci sarebbe molto da dire sul ruolo della penetrazione del capitale straniero e in particolare francese in Tunisia ma anche questa è un’altra storia…
Chi sono i protagonisti di questa rivolta?
Sicuramente non sono quelli che ci vengono raccontati dai giornalisti in vena di titoli sensazionalistici. Sia in Tunisia che all’estero infatti abbondano articoli su presunte infiltrazioni islamiste se non addirittura una regia occulta dietro l’intera rivolta da parte del Daech e di atri gruppi islamisti tendendo la mano alle tesi cospirazioniste del governo aiutate a loro volta dall’ultimo video del Daech che incita i tunisini alla rivolta cercando di capitalizzarne alcuni risultati ex-post.
Innanzitutto bisogna dire che come tutti i paesi a maggioranza musulmana, in Tunisia vi è un sentimento religioso e un numero di praticanti molto superiore ad un qualsiasi paese occidentale. Ciò non significa di per sé essere islamista. Un/una fervente praticante può rappresentarsi ai nostri occhi come un estremista religioso per via della barba o del niqab (velo integrale) basterebbe discuterci qualche minuto per scoprire quanto il nostro interlocutore si opponga senza se e senza ma a chi sfrutta la sua religione, commettendo anche dei peccati, per i propri fini come il Daech.
Inoltre nonostante la retorica governativa sui presunti legami tra la protesta a Kasserine e la presenza nel vicino Monte Chambi di gruppi islamisti, negli ultimi mesi è stata proprio la popolazione di Kasserine ad essere colpita da alcune incursioni di questi gruppi senza che il governo fosse in grado di mettere al sicuro la cittadinanza come dice di voler fare in presenza della rivolta…
Quindi tra i giovani manifestanti si può trovare il praticante della moschea come l’assiduo frequentatore del bar, entrambi possono avere o no un diploma o una laurea, sono accomunati dal fatto di essere disoccupati e dalla rabbia dopo l’ennesima morte di un loro coetaneo aggravata dal fatto di sentire false promesse da 5 anni nonostante il tributo di sangue che loro stessi e i loro coetanei hanno pagato nella rivolta tra il 2010 e il 2011.
Come in ogni rivolta di questo tipo, così come avviene anche nelle periferie dei paesi imperialisti come in quelle di Parigi, Londra, Ferguson, Stoccolma ecc. i rivoltosi colpiscono lo stato e i suoi simboli e si appropriano dei beni di consumo pubblicizzati, quindi sempre agognati ma sempre negati.
E qui un gran discutere da parte di governo, stampa e perbenisti di destra e di “sinistra” sugli infiltrati che saccheggiano i grandi magazzini portandosi a casa un elettrodomestico o l’ultimo modello di smartphone che per mesi è stato massicciamente pubblicizzato convincendo quel povero giovane, che adesso lo ha finalmente tra le mani, che la vita non possa andare avanti senza l’ultima app o funzione di esso.
Quanta ipocrisia e quanto rumore per niente!
Quando i veri ladroni sono quelli di cui abbiamo parlato nei due paragrafi precedenti.
C’è anche chi tenta di fare una differenza tra i giovani del 2010/2011, i quali avrebbero avuto delle idee e un progetto e la massa informe, violenta e pronta al saccheggio di questi giorni.
Senza capire che sono gli stessi giovani, la maggior parte dei quali semplicemente invecchiati di 5 anni e stanchi di essere ancora presi in giro, altri erano troppo giovani nel 2010 ma adesso finalmente è il loro turno per provare a cambiare qualcosa invece di “stare tutto il giorno seduti al caffè”: uno dei maggiori rimproveri che proviene dai nostri benpensanti. Quest’ultimi non capiscono che i giovani sono gli stessi, la differenza sta nell’idealizzazione che essi fanno della rivolta precedente, non a caso chiamata “rivoluzione dei gelsomini” (termine doppiamente fuorviante e mai accettato dai tunisini) e la rivolta stessa (sia di ieri che di oggi). L’errore grossolano che c’è tra la realtà e la propria percezione di essa viene addebitato ingiustamente a chi fa la storia per le strade.
Per quanto ci riguarda noi stiamo senza dubbio dalla parte dei giovani rivoltosi “brutti, sporchi e cattivi” per quanto siano.
Ma per rispondere alla domanda posta come titolo di questo paragrafo basta riportare quanto scritto nei cartelli e scandito dagli slogan dai rivoltosi:
"La rivoluzione dei giovani è confiscata dai vecchi.”
“Ora che noi vogliamo fare sentire la nostra voce, il governatore si è rifugiato dietro le forze armate. Questi poliziotti hanno formato un muro d’aparthaid, noi faremo cadere questo muro, apriremo le sue porte e confischeremo le chiavi. Il nostro combattimento non è più contro il governatore, responsabile della morte di Ridha Yahyaoui e della nostra povertà. La nostra lotta e anche contro il potere centrale che continua ad impoverire le regioni emarginate,”
“Il nostro sit-in non riguarda unicamente i disoccupati ma tutta la regione. No, tutto il paese! Noi vogliamo delle riforme economiche reali, una nuova politica di sviluppo e l’apertura immediata dei dossiers della corruzione.”
“Noi siamo terrificati ma anche in collera con le forze dell’ordine che non hanno provato ad evitare i due suicidi. Poco tempo prima, ci hanno sparato dei gas lacrimogeni e dei colpi di mitra per disperderci.”
“non si calmerà la collera della fame! È finita l’obbedienza, non abbiamo paura della polizia. Noi rispondiamo solamente alle aggressioni della polizia. Ridha Yahyaoui non è morto per niente. Noi prendiamo il testimone.”
“la sostituzione del governatore non è sufficiente. Le riunioni del governatore e i deputati della regione a porte chiuse non servono a niente. Le iniezioni di denaro e altre sovvenzioni improvvisate non avranno alcuna utilità senza le riforme reali ed un vero piano di sviluppo.”
P.S.
Note critiche ad alcuni compagni in Italia
Purtroppo oltre al giornalismo ufficiale anche alcuni articoli provenienti dal “movimento” diffondono idee erronee circa gli eventi di questi giorni, tra questi vi è l’articolo di Lorenzo Fe apparso qualche giorno fa su globalproject e quello di ieri su infoaut.
In entrambi si fa una grossolana confusione tra le categorie di “rivolta” e “rivoluzione” (nel primo articolo si parla di “rivoluzione” tout court nel secondo le due categorie vengono usate come se fossero sinonimi).
Sebbene l’articolo di Fe contenga in apertura dei dati interessanti come punto di partenza dell’analisi circa la regione di Kasserine, esso prosegue con l’ormai ultra decennale generalizzazione pervadente del concetto di “precarietà” tipico del resto di quest’area politica, quella dei "dissobbedienti, rappresentata da globalproject, si afferma infatti:
“la (relativa) democratizzazione formale non ha intaccato quel modello di sviluppo basato sulla precarietà di ampie fasce della popolazione che è stato un ingrediente fondamentale delle cause della rivoluzione.”
Anche qui quest’area politica usa come sinonimi “precarietà” e “sfruttamento” con la tendenza a sostituire il secondo termine con il primo.
La domanda è: come fa un modello di sviluppo (qualsiasi esso sia) a basarsi sulla precarietà?
Nel nostro caso il sistema di sviluppo capitalista si basa sullo sfruttamento del lavoro salariato con lo scopo di estrarre plusvalore quindi profitto, questo vale in Italia come in Tunisia. Nei paesi imperialisti le politiche neoliberiste hanno introdotto il precariato cosa che è meno presente nei paesi oppressi dall’imperialismo come la Tunisia.
Il “modello di sviluppo” tunisino si basa sulla svendita delle materie prime (fosfati, gas naturali, prodotti industriali semilavorati) all’imperialismo, ciò esige in primo luogo lavoratori ipersfruttati e a tempo pieno, che per intenderci hanno la possibilità di tirar su famiglia in condizioni non ottimali ma che non sono “lavoratori precari”.
Ovviamente esistono lavoratori precari anche in Tunisia che stanno principalmente nei call center di Tunisi ma rappresentano una minoranza rispetto alla forza lavoro tunisina.
Il 50% rappresentato dall’economia informale, che costringe ad una vita precaria, è osteggiata dal governo (non rientra nel suo “piano di sviluppo”) in quanto un regime a vocazione autocratica tende a controllare tutti e tutto ma, allo stesso tempo, rappresenta una sorta di “ammortizzatore sociale” dal basso permettendo la sopravvivenza a decine di migliaia di persone ed evitando che le rivolte come quelle di Kasserine scoppino ogni giorno.
L’articolo di infoaut riferendosi agli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi nel 2013 parla di “due grandi esponenti della sinistra di classe del paese”… sanno i compagni qual era e qual è tuttora il programma politico dei partiti di cui questi due esponenti erano segretari?
Ciò non toglie la condanna senza se e senza ma degli assassini politici ad opera di bande fasciste salafite protette dall’allora governo a guida Ennahdha, ma ad onor del vero non si può trasformare la natura riformista di Belaid e Brahmi in “sinistra di classe” post mortem.
Infine il titolo di questo articolo: “Kasserine si immola” è veramente disarmante!
Kasserine ha riacceso la fiamma della rivolta grazie al protagonismo dei suoi giovani che hanno sfidato a più riprese polizia, esercito, coprifuoco senza fermarsi davanti a niente fino alle estreme conseguenze (la morte del poliziotto non ha per nulla fatto desistere i giovani a continuare la rivolta nonostante le criminalizzazioni piovute su di loro in seguito a questo avvenimento) altro che immolarsi!
Purtroppo esiste una tendenza da parte di alcuni giovani a reagire alla disoccupazione con l’atto estremo del suicidio ma ciò riguarda una minoranza e deve essere una tendenza che il movimento tunisino stesso deve debellare facendo leva sulla miseria e lo sfruttamento dei giovani perché ciò si trasformi in rabbia contro il nemico e non autodistruzione e immolazione per l’appunto.
Tunisia 23 Gennaio 2016
[1] Ciò non toglie che all’evenienza l’imperialismo in particolare quello americano non esita a favorire questo tipo di forze politiche.
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