Nuova rivolta proletaria e giovanile in Tunisia. Che il settimo anniversario della caduta di Ben Ali sia di buon auspicio
Il
settimo anniversario della Rivolta Tunisina è stato anticipato da una
nuova rivolta proletaria scoppiata nel piccolo centro di Tebourba (30 km
a ovest di Tunisi) contro la legge finanziaria 2018 promulgata dal
parlamento tunisino “sotto dettatura” del FMI. La suddetta prevede un
rialzo di un punto percentuale della TVA (l’IVA n.d.a.)
e l’aumento dei prezzi di beni di prima necessità e servizi tra cui
ortaggi, legumi, ricariche telefoniche, e aumento del canone dei terreni
destinati a costruzioni abitative e molto altro.
Stavolta
il morto c’è scappato subito: la polizia che pensava di sgomberare
facilmente i manifestanti trovando resistenza ha caricato pesantemente
con macchine e camionette investendo Khomsi el Yerfeni di 45 anni che è
morto sul colpo. La Rivolta si è quindi diffusa in diverse città tra cui
Siliana, Kef, Kasserine, Susa e in alcuni quartieri popolari di Tunisi
(tra cui il noto Ettadhamen).
A
nulla è valso il patetico comunicato del ministero degli interni
dichiarante che il manifestante soffriva di problemi respiratori e che
sia morto in seguito all’inalazione dei gas lacrimogeni, subito smentito
dai familiari mentre alcuni testimoni oculari e un video dimostrano
chiaramente che Khomsi sia stato investito, ciò ha fatto esplodere
ancora di più la rabbia nel paese.
Una
nuova rivolta era nell’aria, oltre ai movimenti di protesta regionali e
settoriali dell’anno scorso (di cui abbiamo parlato ampiamente su
questo blog) il tasso di inflazione ed il livello di disoccupazione sono
ormai diventati insostenibili nel paese. Proletari e classi popolari
fanno veramente fatica ad arrivare a fine mese, a ciò si aggiunge la
sopportazione quotidiana dell’arroganza del potere e di chi ne difende
l’ordine costituito.
Un
governo e un capo di stato che gestiscono il paese come ai tempi
dell’ancien regime, aprendo le porte del paese agli investimenti
stranieri cioè alla rapina delle sue risorse da parte dell’imperialismo
francese e italiano in primis, facendo varare leggi dal parlamento
indicate dal FMI (vedi la riforma del settore bancario) e attuando
politiche economiche e monetarie subalterne agli interessi
dell’imperialismo (vedi ad esempio la svalutazione del dinaro tunisino).
Ritorna
la repressione vecchia maniera di Ben Ali memoria (in realtà mai
scomparsa): arresti indiscriminati verso attivisti politici e sociali ,
strapotere dei poliziotti nelle strade, non applicazione di leggi a
discrezione degli stessi (vedi la nuova legge che permette ad una madre
di lasciare il territorio nazionale con il proprio figlio senza che ci
sia più bisogno del permesso del marito).
In questo contesto alcuni giovani sono stati arrestati a Tunisi la notte del 3 gennaio per aver scritto sui muri فاش نستناو ؟ (Fech nistanaou? Cosa stiamo aspettando? n.d.a.)
il nome del nuovo movimento che contesta la legittimità di questo
governo che ha aperto il 2018 domandando esplicitamente nuovi sacrifici
al popolo tunisino per compiacere il FMI che ha appena sbloccato la
seconda tranche di un prestito di 2,9 mld di $.
I giovani di “Fech nistanaou?” hanno lanciato uno slogan abbastanza chiaro “fate i sacrifici per pagare lo stipendio a Chahed (il primo ministro n.d.a.)”.
Si
sono quindi susseguiti giorni di manifestazioni e notti di rivolta con
scontri con la polizia e saccheggi di grandi supermercati.
La prima reazione del governo è stata, oltre alla repressione, circa 800 arresti in meno di una settimana (tanto da far scomodare Amnesty International e ONU) quella di provare a dividere il fronte della protesta in “buoni e cattivi”: chi manifesta di giorno è buono e ne ha il diritto (un diritto relativo date le provocazioni e gli arresti arbitrari dei poliziotti verso i manifestanti tra cui Ahmed Sassi giovane professore di filosofia, il segretario locale dell’UGTT di Kasserine e un leader dell’Unione dei Laureati Disoccupati di Nabeul arrestato mentre si trovava nella sede del movimento) chi protesta di notte è un criminale, un vandalo e come sempre viene agitato lo spauracchio delle “forze occulte straniere” che vogliono destabilizzare il paese (come successo due anni fa durante la rivolta di Kasserine).
La novità è stata l’utilizzo immediato da parte dello Stato dell’esercito, al fianco delle forze di polizia, principalmente per presidiare “obiettivi sensibili” come caserme e supermercati e alleggerire così polizia e guardia nazionale nel fronteggiare i giovani rivoltosi.
Addirittura
in maniera populista il ministero dell’interno ha lanciato un hashtag
con una parola d’ordine inneggiante alla calma e a “non distruggere la
Tunisia”.
Il
presidente della repubblica in persona ha attaccato la stampa straniera
rea di aver “ingigantito il problema e di aver demonizzato il governo”
contemporaneamente la Guardia Nazionale si recava al domicilio a Tunisi
del giornalista francese Mathieu Galtier, corrispondente de Liberation,
portandolo in caserma e trattenendolo per due ore per sapere i nomi
delle persone che aveva intervistato a Tebourba. Il giornalista si è
rifiutato e poi è stato rilasciato dopo due ore.
Dopo
i primi giorni il primo ministro tenta un bagno di folla nella
cittadina di El Batan, al grido di “degage!” è costretto a battere in
ritirata dopo pochi minuti. (vedi video qui)
Per
l’anniversario della cacciata di Ben Ali, il 14 gennaio, il presidente
della repubblica in visita a Ettadhamen tenta ancora una volta la carta
del populismo e annuncia che il 2018 sarà l’anno dedicato ai giovani.
Ancora
una volta il Fronte Popolare (che a differenza di quanto sta dicendo la
stampa internazionale in questi giorni non è un partito bensì un’alleanza elettorale di 12 partiti della sinistra riformista e panarabisti) e l’UGTT (il sindacato tunisino) fanno il gioco del governo in tempi di rivolta e benedicono le manifestazioni diurne condannando quelle notturne usando la stessa fraseologia governativa (condanniamo la violenza, gli atti vandalici di bande di mafiosi e criminali…). Così si è espresso il segretario dell’UGTT Noureddine Taboubi: “noi
siamo per la libertà d’espressione, le manifestazioni pacifiche contro
il carovita e la disoccupazione dei giovani, questo è il nostro ruolo,
per cui questi movimenti devono essere inquadrati dai partiti politici e
dai sindacati che li organizzano”.
Sia il primo ministro che il capo del partito di maggioranza relativa,
gli islamisti di Ennadha, accusano il Fronte Popolare di fomentare la
rivolta, il cui capo Hamma Hammemi, risponde alle accuse cosi: “Youssef
Chahed confonde le azioni militanti, di cittadini e pacifiche che il FP
sostiene con quelle violente commesse da gruppi criminali, che si
approfittano di questo genere di eventi e che potrebbero essere in
relazione con delle lobby in seno allo stesso governo Chahed e alla
coalizione al potere […] il ricorso delle autorità alla violenza e alle campagne di diffamazione che colpiscono i movimenti pacifici, si confondono con gli atti di violenza commessi dai gruppi criminali”.
Da
segnalare che molti attivisti indipendenti (che non sono militanti del
FP e dell’UGTT) rifiutano questa divisione tra “buoni” e “cattivi”. Nejib Dziri il coordinatore della campagna “Yezikom” contro il carovita ha dichiarato che “non
ci sono permessi per le manifestazioni, ci siamo riuniti la sera perché
la maggior parte di noi lavora di giorno. Cosi non danneggiamo
l’economia del paese”.
È
vero che la base sociale dei manifestanti del movimento Fech nistannou
che scendono in piazza in Avenue Bourguiba è diversa da quella delle
altre località: i giovani della piccola e media borghesia progressista
della città utilizzano slogan politici contro il governo in continuità
con la “Rivoluzione incompiuta” del 2010/2011, i giovani proletari e
sottoproletari delle periferie (sia della capitale che del paese)
rappresentano la continuità della Rivolta nella pratica dei riots. Qui è
bene affermare che se il governo in quanto agente neocoloniale (classe
borghese compradora) vuol far pagare le ricette del neoliberismo del FMI
al popolo, è giusto e sacrosanto che il popolo attui un autoindennizzo
immediato sanzionando i grandi centri commerciali (guarda caso tutti
francesi Magasin General, Carrefour, Monoprix) e che come obiettivo vi
siano centrali di polizia e della guardia nazionale.
Dopo
quasi una settimana, la vigilia del 14 gennaio ha registrato scontri
solo in una località, è ragionevole pensare che la polveriera ancora non
è esplosa del tutto…
Questa
nuova rivolta mostra che la nuova generazione i cui membri non erano
neanche adolescenti nel 2010, vogliono raccogliere il testimone della
Rivolta incompiuta, i giovani proletari e delle classi popolari inoltre
dimostrano ancora una volta di non voler chinar il capo ai diktat del
“governo coloniale” com’è apparso recentemente in una scritta su un muro
della capitale.
La
sinistra riformista e l’UGTT si dimostrano ancora una volta estranei
alla gioventù proletaria e ribelle non capendone le dinamiche nel
migliore dei casi, ed essendo divergenti negli interessi (le elezioni
municipali si avvicinano com’è stato ricordato anche oggi nel comizio
dell’UGTT dal suo segretario…). Ai predicatori della normalizzazione sia
essa “transizione democratica” o elezioni municipali viste come chissà
quale panacea alla deriva autoritaria che sta attraversando il paese,
tifiamo rivolta accanto ai giovani di Fech nestannou con l’auspicio che
questo movimento venga inquadrato (non come inteso dal rinnegato
dell’UGTT) dandosi un’organizzazione militante stabile e combattiva fusa
con i giovani delle periferie della capitale e del paese con una
prospettiva realmente rivoluzionaria.
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