- la nuova rivolta giovanile a Stoccolma ripropone alle forze comuniste e rivoluzionarie il dibattito di quale linea e quale progetto per la rivoluzione nei paesi imperialisti
documento relazione del PCm Italia al meeting di parigi dopo la rivolta nelle banlieu parigine del 2005
Dalla
rivolta delle banlieue alla rivoluzione proletaria
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mila poliziotti schierati nelle banlieue la notte del 31 dicembre 05
a difesa dell’ordine e della sicurezza contro la possibile ripresa
della rivolta, hanno offerto l’immagine eloquente di quello che la
rivolta ha costituito per la Francia e per i paesi imperialisti in
generale. L’ostentata dimostrazione di forza dello Stato francese è
risultata paradossalmente una smaccata dimostrazione di debolezza, la
borghesia francese e il suo Stato non erano in grado di garantire più
un capodanno normale ai 500mila che affollavano gli Champ Elisees se
non al prezzo di uno Stato di militarizzazione simile ad uno Stato di
guerra.
In
tutti i paesi imperialisti, anche quelli solo sfiorati dal contagio
francese in questa occasione – Belgio, Germania, Olanda, Danimarca,
Spagna, Grecia, Inghilterra, Svizzera, Svezia – la paura della
borghesia è stata tanta che le misure prese dai governi, dal punto
di vista del dispiegamento di forze dello Stato, sono state come se
la rivolta ci fosse stata effettivamente.
Anche
la contabilità delle macchine bruciate è suonata abbastanza
grottesca: prima si è detto che erano la testimonianza di semplice
vandalismo e teppismo che caratterizzerebbe la ‘feccia’ delle
banlieue, senza coscienza politica, senza obiettivi, in ultima
analisi senza ragione, poi però si è dispiegata l’intera forza
della polizia, se ne è valutata l’efficacia militare, politica e
si è valutato il grado di tenuta del sistema politico istituzionale
contando le macchine bruciate, dando ad esse una sorta di vittoria
postuma (i commenti del giorno dopo capodanno hanno, infatti parlato
di “pericolo scampato” contando il numero relativamente basso di
macchine bruciate, anche se erano 100 in più del precedente
capodanno).
Parafrasando
Marx si potrebbe dire che quando ogni fruscio e fermento sociale,
ogni manifestazione anomala, ogni singolo episodio viene
percepito
dalla borghesia come un pericolo, allora effettivamente ogni singolo
episodio diventa
un
pericolo.
Alla
paura della borghesia ha corrisposto l’orgoglio e la forza della
gioventù proletaria ribelle. Dichiarava Muhittin, il giovane
sopravvissuto alla tragica notte del 27 ottobre, dove hanno perso la
vita, fulminati, Bouna e Zyaed “Adesso i miei amici pensano che io
sia un eroe, che sia diventato un capo. Ma io sono solo un ragazzo”,
mentre parlava della ‘notte di S. Silvestro’ in questi termini
“Certo, conosco gente che si prepara a far la festa ai poliziotti”.
Come
si può pensare che 25mila sbirri possono cancellare e soffocare
tutto questo
ODIO?
Negli infami tribunali della borghesia, quello di Bobigny in
particolare, si sono subito processati e condannati decine e decine
di giovani protagonisti della rivolta – sono stati migliaia i
condannati degli oltre 5mila arrestati e oltre il doppio incriminati
e perseguitati.
La
logica di questi tribunali è stata da “tribunali di guerra” in
cui non si sono neanche cercate ‘prove certe’, ma si sono assunti
i rapporti di polizia come ‘prova’.
Ma
anche qui lo Stato benché ha fatto la faccia feroce si è trovato
davanti non certo la paura, non certo i pentimenti dei giovani. I
processi sono somigliati a tutti i processi che seguono le rivolte e
le ribellioni di massa, impregnati di terrore e di vendetta, con riti
che vorrebbero essere della legge ma che risultano essere una sorta
di “esorcismo”.
Dalla
Comune di Parigi alla Francia di oggi queste pagine tendono sempre a
rinverdire la memoria storica, La borghesia vorrebbe la ‘pace dei
cimiteri’ per seppellire le istanze di ribellione e trasformazione
sociale. Ma Parigi non è adatta a questo, perfino il Cimitero di
Pere Lachaise, con i suoi morti della Comune, con le tante tombe di
comunisti e di combattenti/partigiani della liberazione, è memoria
di rivoluzione che alimenta la rivoluzione.
La
verità è che a Parigi e in Francia è comparso un nuovo spettro che
comincia ad aggirarsi in tutte le metropoli europee e a turbare i
sonni e la sicurezza dei borghesi: la gioventù proletaria. La nuova
gioventù proletaria, figlia di proletari, in quartieri proletari, si
è ribellata. Non era la prima volta, e la rabbia e l’odio erano e
sono permanenti e latenti, ma questa volta si è ribellata ovunque,
in tutte le banlieue parigine e in tutte le città francesi ove vi
sono le medesime condizioni e perfino dove non si è ribellata si è
riconosciuta nella rivolta, e ha reso la ribellione più forte ed
incisiva, mettendo a nudo di fronte agli occhi di tutta la Francia e
di tutti i paesi imperialisti europei, la natura di classe di essa.
Ogni argomento usato per spiegare e a volte giustificare la rivolta
da governanti, politici, intellettuali, non ha fatto che illuminarne
il suo carattere globale; e più giornalisti impegnati, sociologi da
strapazzo, esponenti della ‘sinistra di palazzo’ si
sono
arrampicati scioccati sugli specchi per darsi la “vera spiegazione”
e più ogni spiegazione è servita a dare una ragione in più e a far
venir fuori più evidente che mai il carattere generale della società
di classe contro cui si è sviluppata la rivolta che in ciascuna
delle “vere spiegazioni” si voleva occultare.
La
rivolta è della gioventù proletaria francese, dei suoi settori più
precari nei quartieri operai, di tradizione operaia, di composizione
operaia, in cui le fabbriche in alcuni casi sono fuse col quartiere.
Ad Aulnay Sous-Bois, cuore della rivolta, c’è la Citroen con 7
mila operai. Insomma, pensando a questo quartiere, si potrebbe dire
che non sono le macchine bruciate il problema della borghesia, ma i
proletari che le costruiscono e i loro figli.
Giustamente
si è parlato dei figli del proletariato. Se ne è parlato molto a
sproposito per segnalare che il proletariato adulto sarebbe contrario
alla rivolta, sarebbe dalla parte del sistema, integrato in esso, ma
si è trattato di una falsificazione e mistificazione. I giovani
proletari hanno espresso in forma radicale gli interessi della loro
classe e si sono ribellati allo stato di passività imposto dal
dominio della classe dominante, di tutte le sue articolazioni, di
tutti i suoi alleati – l’aristocrazia operaia rappresentata da
partiti e sindacati, la piccola borghesia intellettuale benestante o
‘bottegaia’ e proprietaria.
Si
è cercato poi di presentare la ribellione dei giovani delle banlieue
come fenomeno particolare e non lo si vede legata al più generale
ingresso della nuova generazione nella scena politica mondiale
all’interno dei paesi imperialisti, come ha evidenziato pochi mesi
dopo il movimento degli studenti contro il CPE, ma come aveva già
evidenziato il movimento contro la globalizzazione imperialista, da
Seattle a Genova. E’ proprio la natura dello scontro con i
poliziotti a dar ragione e a rendere visibile che si tratta delle
stesse istanze approfondite e rese più radicali dal carattere di
classe di questa gioventù.
E’
come se i poliziotti di Genova fossero in servizio permanente nelle
banlieue e qui la gioventù proletaria gli ha reso ‘pan per
focaccia’, gli ha reso difficile la vita, li ha posti in scacco,
gli ha bruciato i commissariati, li ha sconvolti, deviati, bruciando
ora una macchina ora un edificio scolastico, li ha messi in fuga, ha
smantellato un andamento da scontro tradizionale che li avrebbe visti
massacrati.
Le
stesse istanze antirazziste, anticolonialiste e antimperialiste –
qui sì che ha pesato la matrice “algerina” – che erano oggetto
già di contesa nelle banlieue, sono state raccolte dalla gioventù
proletaria; solo che se queste vivono nei discorsi alati di sacerdoti
no-global, SOS racisme, ecc. vanno bene, se invece queste diventano
scontro violento nei quartieri ghetto delle metropoli imperialiste
sono tutti pronti a definirle immotivate, senza ragione,
inaccettabili. In questa maniera tutte le genie di riformisti si
mostrano come forme nobili delle espressioni volgari di Sarkozy.
I
giovani delle banlieue nella rivolta hanno agitato le istanze di
libertà, trasformazione, socialità, riappropriazione, rifiuto del
modo ordinario di vivere, vestire, pensare, che anima la gioventù di
Francia, come la gioventù dei paesi imperialisti, qualunque sia il
colore della pelle, il paese d’origine. La gioventù proletaria ha
posto in forme radicali, ultimative, perfino simbolicamente,
l’attualità della legge scientifica che senza distruzione non c’è
costruzione. Fa ancora più paura alla borghesia la ribellione
proletaria se è la gioventù a prendere il posto in prima fila
perché mostra che non con un fuoco di paglia si deve misurare ma con
una nuova possibile ondata della lotta rivoluzionaria del
proletariato.
Sempre
la gioventù ha anticipato il più generale movimento rivoluzionario
del proletariato e delle masse.
La
rivolta della gioventù proletaria nelle banlieue ha mostrato come
tutti gli aspetti, tutti i fermenti che animano il movimento
giovanile possono rivolgersi contro lo Stato.
La
colonna sonora rap, l’organizzazione delle tifoserie, i fermenti di
costume, che nelle forme abitudinarie si presentano pur sempre
ambigue tra adeguamento alla società esistente e trasgressione da
essa, quando si fondono con le condizioni economiche e sociali,
sciolgono la loro ambiguità e i giovani le rivoltano contro il
sistema del capitale, le sue leggi, la sua faccia concentrata dello
Stato di polizia che vuole imporre questo sistema e queste leggi come
intoccabili.
La
gioventù proletaria protagonista della rivolta è senz’altro fatta
di giovani immigrati e figli di immigrati e subisce sulla sua pelle
questa doppia oppressione di essere nello stesso tempo proletaria e
immigrata, di subire quindi la discriminazione, di essere considerata
cittadino di serie B, straniera in casa propria, straniera nei luoghi
in cui è nata, di “razza non bianca”, emarginata ed emarginabile
in qualsiasi momento della propria esistenza.
Ma
questo è il frutto del carattere imperialista del paese in cui vive,
del fatto di nascere, vivere o essere giunta nei paesi in cui è
concentrata la ricchezza di pochi basata sulla rapina dei molti. Le
leggi del sistema imperialista e dell’attuale divisione del mondo
producono giganteschi flussi di immigrati che sfuggono dalla miseria,
dalla fame, dalle malattie, dalle guerre, ecc., e producono, come
sempre finché imperialismo, la trasformazione di questi immigrati e
dei loro figli nati nei paesi imperialisti in proletariato più
sfruttato. Questo incide nella composizione e nella coscienza del
proletariato che porta nella sua lotta le istanze di trasformazione
delle due facce del pianeta del sistema imperialista attuale: del
paese d’origine oppresso dall’imperialismo e del paese
imperialista.
Nella
coscienza di questo nuovo proletariato si fondono, come ricchezze e
limiti, retaggi feudali dei paesi oppressi e rifiuto della
putrefazione dei paesi imperialisti. Questo è un carattere di
moderna diversità dei paesi imperialisti, e questa diversità può e
deve trasformarsi in ricchezza perché concentra nella lotta del
proletariato le aspirazioni trasformative delle due facce del
pianeta.
Il
proletariato giovane immigrato e figlio di immigrati con la sua
rivolta “esclusiva” dà voce agli “esclusi”, agli sfruttati
di tutto il sistema imperialista.
La
gioventù proletaria è oggi composta essenzialmente di giovani
disoccupati, di senza- lavoro, di lavoratori precari, di figli di
operai, di lavoratori divenuti anch’essi disoccupati e precari. E’
chiaro quindi che non ha spesso gli stessi luoghi di aggregazione, la
fabbrica, il posto di lavoro, gli stessi strumenti sindacali e
politici su cui cresce la lotta e
la
coscienza di classe di operai e lavoratori. In Francia e in molte
delle metropoli imperialiste essa è multinazionale, multirazziale,
riempita com’è di giovani figli di immigrati o immigrati essi
stessi, ed è concentrata in quartieri ghetto, espulsa dal centro
città, dai quartieri residenziali. La rivolta ha concentrato tutti
questi aspetti ed è anch’essa figlia della concentrazione di tutti
questi aspetti.
Questi
aspetti certo non si presentano nelle stesse forme in tutti paesi
imperialisti – ad esempio in Italia dove la presenza nei quartieri
dell’immigrazione è ancora bassa e gli immigrati stessi sono
appena o poco più che alla prima generazione, e la seconda
generazione è presente solo a ‘macchia di leopardo’ - ma i
fattori di differenza vengono utilizzati dagli analisti borghesi e
riformisti per isolare la rivolta della Francia, esorcizzarne il
contagio e per far leva sulle differenze rispetto alla condizione
delle banlieue, per considerarlo un evento episodico, “francese”,
irripetibile.
Ma
questo tipo di rivolta non si è presentata solo in Francia ma anche
in altri paesi imperialisti, da Los Angeles a Brixton, ecc. Ma anche
se fosse vero tutto ciò che viene detto, con le lenti dialettiche
dell’analisi di classe, e non quelle meccaniche, scolastiche e
metafisiche di tanti presunti analisti o sedicenti marxisti, è
possibile guardare non a ciò che vi è di particolare ma a ciò che
è generale nella rivolta della gioventù proletaria francese.
E’
o no la gioventù proletaria in tutti i paesi imperialisti, anche se
non concentrata in banlieue, nella sua grandissima maggioranza,
precaria, sottopagata, senza voce, ghettizzata? In Italia, non sono
la gran parte delle città del sud, grandi, piccole, medie, ad essere
caratterizzate da un simile tipo di gioventù? E chi l’ha detto poi
che la mancanza di concentrazione non possa diventare un fattore
espansivo in ogni ambito delle metropoli imperialiste delle ragioni e
opportunità di ribellione della gioventù proletaria? Pur non
essendo basata sul colore della pelle, sull’origine e sulla lingua,
si riproducono in forme assimilabili a quelle delle banlieue francesi
tutte le forme di discriminazione, emarginazione, rese acute dal
contrasto sociale, tra i ricchi, al cui centro sono i padroni che
hanno i loro quartieri, i loro ristoranti, i loro ambienti, i loro
negozi, i loro modi di
vivere,
e l’universo della gioventù proletaria con gigantesche masse di
irretiti ma esclusi.
Verso
questa gioventù proletaria si vanno concentrando le forme di
repressione, controllo, persecuzione dei moderni Stati di polizia. E
in tutte le forme di aggregazione di questa gioventù, nei quartieri,
sul territorio, nella fabbrica diffusa del lavoro precario, si
sviluppa un universo a parte di legami, comunanza per gruppi, bande,
comitive, in cui cresce, insieme alla noia e all’esclusione, la
rabbia e la ribellione.
Nello
stesso tempo, cosa sono e cosa stanno diventando le fabbriche di
giovani operai, che certo hanno un lavoro, più soldi in tasca, che
influenza il loro modo di vivere e di pensare fuori dalla fabbrica,
ma che dentro la fabbrica vivono un senso di emarginazione,
esclusione, repressione, controllo, sfruttamento, negazione della
vita, una schiavitù salariata, una flessibilità e precarizzazione
che fa maturare l’inaccettabilità di una vita eterna da sfruttati?
Albergano nella gioventù operaia gli stessi sentimenti di rivolta.
In fabbrica la faccia del poliziotto è quella del ‘capo’ che
asfissia, insulta, minaccia, controlla, perché vuole costringere a
fare tutto sull’altare del plusvalore, del profitto.
Riformisti
e opportunisti, falsi comunisti non vedono la comunanza del fuoco
sotto la cenere, perché sono parte del sistema del nemico oppressore
e mangiano alla sua greppia, fossero anche travestiti da sindacalista
o da “gente di sinistra”. Il filisteismo piccolo borghese e la
sinistra di palazzo o “normativa” sono contro la ribellione della
gioventù proletaria e sono dentro il sistema politico, culturale,
ideologico della società dominante.
I
comunisti marxisti-leninisti-maoisti, i giovani che essi organizzano
sono e devono essere avanguardie coscienti e osservatori e agenti
della faccia nascosta ma vera dello scontro di classe nelle metropoli
imperialiste; si alimentano dello stesso odio, si fanno prima linea e
attivi organizzatori, imparano con l’arma del
marxismo-leninismo-maoismo e costruendo l’organizzazione proletaria
d’avanguardia, la lingua del proletariato ribelle, sono con la
mente e il piano, quando ancora non riescono ad esserlo con il
radicamento, dentro la dinamica della rivolta che analizzano come
guerra di classe, essi guardano alla spontaneità come embrione di
coscienza, e con la linea di massa - che non è né può essere
quella dello sviluppo di un movimento pacifico di massa, di cui si fa
un’apologia disarmante - concentrano il loro lavoro nel trasformare
le istanze delle masse da scontro con il potere borghese a scontro
per il potere, nel fuoco della lotta di classe.
I
comunisti non mitizzano le rivolte delle banlieue, ma hanno chiaro
che ovunque vive, lavora la gioventù proletaria, il proletariato,
oggi ci sono le condizioni della ribellione e
della
sua trasformazione attraverso la guerra rivoluzionaria di lunga
durata in rivoluzione proletaria.
Per
coloro che vogliono fare la rivoluzione nei paesi imperialisti, per i
comunisti che ne dovrebbero costituire il reparto d’avanguardia la
rivolta è ricca di insegnamenti e da questo bisogna partire.
Mao
dice: “Essere attaccati dal nemico è un bene non un male. Dobbiamo
sostenere tutto ciò che il nemico combatte e combattere tutto ciò
che il nemico sostiene”. Quindi, essere dalla parte della rivolta è
stata una discriminate fondamentale. Le forme con cui lo Stato e il
sistema l’ha combattuta sono più che sufficienti per scegliere da
che parte stare. Ma definire da che parte stare è condizione
necessaria ma non sufficiente.
Mao
sostiene: “Chiunque stia dalla parte del popolo rivoluzionario non
solo a parole ma anche con le azioni è un autentico rivoluzionario”.
Non tutto nella rivolta della gioventù proletaria va considerato
giusto e corretto, non tutte le azioni militanti che si sono
sviluppate negli scontri erano quelle necessarie, ma questo è stato
preso a pretesto non solo da borghesi e riformisti, ma anche da
gruppi di opportunisti e falsi rivoluzionari per prendere le distanze
dalla rivolta. Mao dice: “I difetti del popolo vanno criticati, ma
nel farlo bisogna essere sulle posizioni del popolo e la nostra
critica deve partire dal desiderio ardente di proteggere ed educare”.
Opportunisti
e falsi rivoluzionari non vogliono comprendere che le masse
attraverso l’esperienza apprendono e sono in grado di superare
difetti e limiti delle loro precedenti iniziative. Ma questo avviene
con l’arma della guerra non al posto della guerra. Mao dice: “La
guerra rivoluzionaria è un antitossico che non solo elimina il
veleno del nemico ma libera anche noi da ogni impurità”.
Ciò
che la rivolta ha riproposto nel cuore dei paesi imperialisti è
appunto la necessità e attualità della violenza rivoluzionaria, la
necessità e attualità della guerra rivoluzionaria.
Come
dice Mao: “la rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza
con cui una classe ne rovescia un’altra”.
Chi
prende le distanze dalla rivolta, chi lo fa attraverso mille
distinguo, è a questa verità che si afferma e al suo movimento
reale che si oppone.
La
guerra rivoluzionaria del proletariato nasce dalla considerazione di
fondo che la rivolta ha messo bene in luce che, come dice Mao, “Le
loro persecuzioni contro il popolo rivoluzionario non possono che
spingere ad estendere ed intensificare le rivoluzioni”.
La
gioventù ribelle ha messo chiaramente in campo le affermazioni
maoiste che “è giusto ribellarsi” e che “non dobbiamo per
nessuna ragione farci intimorire dall’aspetto terribile dei
reazionari”. Né, tantomeno, la conclusione della rivolta può
essere motivo di pessimismo. “Tutti i punti di vista – dice
ancora Mao - che sopravvalutano la forza del nemico e sottovalutano
la forza del popolo sono errati”.
Per
questo, la rivolta della gioventù proletaria pone sul tappeto
migliori condizioni per la questione della costruzione del partito
per la rivoluzione. E’, infatti, la questione del partito l’anello
chiave che il nostro Rencontre pone nell’affermare “Dalla rivolta
delle banlieue alla rivoluzione proletaria”.
Mao
sostiene: “Se si vuol fare la rivoluzione ci deve essere un partito
rivoluzionario.
Perché
la rivolta ci pone il compito - sempre come dice Mao – di “dare a
questo movimento (rivoluzionario, socialista) una guida attiva,
entusiastica e sistematica”.
La
scelta della costruzione del partito in funzione della guerra
rivoluzionaria definisce il compito, ma anche la forma del partito
necessario oggi in Francia e nei paesi imperialisti. La scelta di
integrarsi nella rivolta, di legarsi alla gioventù proletaria che si
è ribellata, è basata sulla piena comprensione che “la guerra
rivoluzionaria è la guerra delle masse, è possibile condurla
soltanto mobilitando le masse e facendo affidamento
su
di esse”, e che “un gruppo dirigente veramente unito e legato
alle masse può formarsi gradualmente solo nel processo delle lotte
di massa e non separatamente da esso”.
I
comunisti e le forze rivoluzionarie in Francia, a fronte della
rivolta si sono dimostrate manifestatamene inadeguate. Anche coloro
che l’hanno appoggiata e condivisa hanno agito come coloro che
descrive Mao: “coloro che in periodo rivoluzionario sanno solo
seguire le vecchie abitudini sono assolutamente incapaci di vedere
questo entusiasmo (delle masse) sono dei ciechi e tutto è nero
davanti a loro. A volte arrivano a confondere il giusto con l’errato,
il nero col bianco. Di persone di questo tipo non ne abbiamo forse
incontrate abbastanza?... Basta che appaia qualcosa di nuovo essi
subito lo disapprovano o si affrettano ad avversarlo. Più tardi
devono ammettere la loro sconfitta e fanno una piccola autocritica.
Ma in seguito quando appare una cosa nuova, ripercorrono l’intero
processo. Questo è il loro tipico comportamento verso qualunque cosa
nuova. Tali persone sono sempre passive e non avanzano mai nel
momento critico. Hanno sempre bisogno di una violenta spinta prima di
muovere un passo”.
La
rivolta della gioventù proletaria chiama i comunisti mlm a un nuovo
inizio, nell’applicazione del marxismo-leninismo-maoismo alla
realtà concreta, nell’integrazione con le masse proletarie,
nell’avviare la guerra rivoluzionaria. Mao insegna: “il nostro
metodo principale è imparare a fare la guerra, facendola”, “una
guerra rivoluzionaria è un’impresa di massa. Spesso non si tratta
di imparare prima e di agire poi, ma al contrario, di agire e poi
imparare, perché agire è imparare”, “Dobbiamo bandire dalle
nostre fila ogni ideologia fiacca e sterile”.
La
costruzione del partito e la trasformazione della rivolta in
rivoluzione richiede un’integrazione e uno spirito di dura lotta
nelle fila della gioventù proletaria. Occorre aiutare a fare
un’analisi giusta e corretta della rivolta, a partire dall’analisi
corretta della natura del nemico. Sempre Mao sostiene:
“L’imperialismo e tutti i reazionari hanno una duplice natura,
sono al tempo stesso tigri vere e tigri di carta. Le tigri vere
divorano gli uomini, li divorano a milioni, a decine di milioni, ma
alla fine si sono trasformate in tigri di carta. Valutate nella loro
essenza con criterio lungimirante e da un punto di vista strategico,
devono essere visti per ciò che sono, tigri di carta. Su questo si
basa il nostro pensiero strategico. D’altra parte essi sono anche
tigri vive, tigri di ferro, vere tigri che possono divorare gli
uomini. Su questo si basa il nostro pensiero tattico”, “Disprezzare
i nostri nemici dal punto di vista strategico, ma dal punto di vista
tattico li dobbiamo considerare seriamente” .
Il
bilancio proletario della rivolta deve legare dialetticamente due
elementi segnalati da Mao: “Lottare, fallire, lottare ancora,
fallire ancora, lottare ancora... fino alla vittoria.
Questa
è la logica del popolo... questa è una legge marxista”, “ogni
guerra giusta rivoluzionaria è dotata di una forza enorme, può
trasformare molte cose o aprire la strada alla loro trasformazione”.
Occorre
fare insieme alla gioventù proletaria un bilancio della rivolta che
tenga conto di questo insegnamento di Mao: “nei ranghi della
rivoluzione è necessario fare una chiara distinzione tra giusto ed
errato, tra successi e deficienze e inoltre stabilire quale dei due
sia al primo posto, quale al secondo. Nell’esaminare i problemi non
dobbiamo mai dimenticare di tracciare queste due linee di
demarcazione, tra rivoluzione e controrivoluzione, tra successi e
deficienze. Per fare bene queste distinzioni sono necessari uno
studio e un’analisi accurata”. Nella convinzione che – lo
abbiamo affermato in questo Rencontre - in Francia e nei paesi
imperialisti per noi comunisti è l’ora, come dice Mao di “
affrontare il mondo e sfidare la tempesta, il grande mondo e la
violenta tempesta delle lotte di massa”
Replica
Quando
diciamo “è giusto ribellarsi” non facciamo altro che compiere
uno dei nostri compiti e lo facciamo con entusiasmo. Noi pensiamo che
il partito comunista maoista si costruisca nel fuoco della lotta di
classe, in stretto legame con le masse. Il maoismo non è un simbolo,
una parola d’ordine vuota, ma una realtà incarnata.
Noi
pensiamo che la rivolta delle banlieue dimostra che è possibile uno
sviluppo rivoluzionario nei paesi imperialisti.
Questo
problema non è ancora chiaro tra i comunisti marxisti-leninisti e
tra i maoisti. Si pensa che diffondere le idee del comunismo sia
costruire il partito comunista; si pensa che basti fare lavoro
sindacale di massa per costruire il partito comunista; si pensa che
mettersi alla coda dei movimenti di massa e sventolare bandiere sia
costruire il partito comunista; si pensa che presentare alle elezioni
‘Liste comuniste’ sia costruire il partito comunista.
Noi
pensiamo che così non si costruirà mai un partito comunista e mai
un’organizzazione rivoluzionaria.
Pensano
che dire ‘avanti verso la guerra popolare, sosteniamo la guerra
popolare in Nepal, Perù, ecc., viva la guerra popolare’ sia il
centro del problema e che il compito di sostenere la guerra popolare
sia il cuore del problema.
Tutti
quelli che pensano così non possono costruire il partito comunista.
Il
partito comunista è il reparto d’avanguardia della classe operaia,
del proletariato. Sono gli operai, i proletari che si fanno partito
armandosi del marxismo-leninismo, del maoismo, terza tappa della
nostra teoria rivoluzionaria e trasformano queste armi teoriche in
armi pratiche.
Quando
i giovani di Red Block vanno nelle banlieue vanno ad apprendere dalla
rivolta ma per dire anche che ‘noi siamo la rivolta’, noi siamo
dei giovani rivoluzionari che sono già organizzati per trasformare
la rivolta in rivoluzione. Perché pensare di organizzare la
rivoluzione nelle banlieue senza un’organizzazione giovanile
rivoluzionaria, guidata dai giovani maoisti, non è possibile.
Perché
la nostra organizzazione giovanile, noi che siamo maoisti, si chiama
Red Block, e non, ad esempio, gioventù comunista
marxista-leninista-maoista? Perché siamo eclettici? Per niente! Ma
perché noi, PCm, abbiamo alzato la bandiera dell’organizzazione
dei giovani dopo Genova 2001, quando la polizia, l’esercito
dell’imperialismo organizzato dal governo di moderno fascismo di
Berlusconi ha colpito, attaccato i giovani, ha ucciso Carlo Giuliani;
ma molti giovani hanno usato la violenza per rispondere a questa
violenza e sono stati tacciati di essere black block, o altro tipo di
casseurs. I maoisti del nostro paese hanno detto
“sì,
la risposta alla violenza della polizia é giusta”; ma non sono
sufficienti i black block, sono necessari i Red Block, i giovani che
combattono sotto la bandiera del comunismo, ma che sono combattenti,
che vogliano vendicare la morte di Carlo Giuliani. Noi vogliamo che
tutti i poliziotti e quelli che hanno mandato la polizia contro i
giovani paghino della stessa moneta, come devono pagare i fascisti
che hanno colpito giovani compagni a Milano e in altre occasioni. Si
tratta di giovani del 2001, di giovani storicamente considerati che
non possono diventare maoisti attraverso la semplice diffusione delle
idee del maoismo, ma giovani che scoprono il maoismo quando vedono,
attraverso l’azione e l’indicazione del PCm, che il maoismo è
l’altra via, l’altra faccia della possibilità della ribellione.
E lì che i maoisti alzano la bandiera della guerra di classe.
Qualcuno
dei compagni dice: ma la rivolta non è la guerra popolare. E chi lo
ha detto che la rivolta è la guerra popolare? Che cos’é la guerra
popolare è ben chiaro dai i testi del M-L-M; ma come si fa e quando
comincia la guerra popolare? Il partito un giorno alza la sua
bandiera e dice oggi io comincio la guerra popolare? O, invece,
analizza le condizioni, analizza i settori che sono quelli più
importanti per farla, analizza le classi in una società
imperialista, e va a scoprire i punti deboli e i punti forti di
classe; e lì traccia il proprio cammino? Una via da tracciare e da
percorrere, da scoprire perché in un paese imperialista la
rivoluzione non è già avvenuta. Un cammino non tracciato, che deve
essere tracciato. Questa è la questione posta della rivolta.
La
rivolta è la guerra di classe; dentro la guerra di classe, il lavoro
nella guerra di classe, l’organizzazione della guerra di classe è
la prima tappa della guerra popolare. La prima fase, la difensiva
strategica, che, è chiaro, nasce come reazione ad un’azione della
borghesia, ma in tutto il mondo sempre la classe reagisce all’azione,
ma bisogna capire quando questa reazione è difensiva o offensiva.
Mao dice: “nella guerra il ruolo principale è sostenuto in molti
casi dalla difesa e per il resto dall’attacco. Tuttavia nella
guerra presa nel suo insieme l’attacco ha un’importanza
primaria”. E per voi, cari compagni, la rivolta delle banlieue è
difensiva? Allora che cos’è questo spettro che è apparso nei
paesi imperialisti europei? Perché il governo Berlusconi il giorno
dopo la rivolta delle banlieue ha deciso ulteriori misure legislative
repressive verso i quartieri visti come potenziali banlieue? Eppure
in Italia non c’era la rivolta. Essi si sono spaventati e si sono
organizzati perché hanno visto ciò che molti compagni non hanno
visto, che non vogliono vedere, perché non vogliono portare avanti i
propri compiti. Come dice Mao: “… I
nostri
compagni non devono credere che tutto ciò che essi capiscono è
capito dalle larghe masse, ma soprattutto i nostri compagni non
devono credere che tutto ciò che essi ancora non capiscono non sia
capito dalle larghe masse”.
E
questi compiti non possono limitarsi a dire: “Viva la rivolta! Viva
la rivolta!”, “Adesso tocca a noi bruciare qualche macchina’.
Ma bisogna studiare, analizzare le situazioni concrete, apprendere le
lezioni. Avete letto i testi di Lenin sulla guerra partigiana?
Bisogna leggerli! Il problema non è esaltare la rivolta ma trovare
il modo per organizzarla.
Ma
organizzare la rivolta non significa soltanto organizzare l’azione,
ma bisogna “occuparsi del riso e del sale”, come ha detto Mao,
nelle fila delle masse e della gioventù proletaria in particolare.
Mao dice: “In guerra le armi sono un fattore importante ma non
decisivo. Gli uomini sono il fattore decisivo, non le cose. Il
rapporto di forza non è solo un rapporto di potenza militare ma
anche un rapporto di potenziale umano e morale”.
Andare
nelle banlieue per legarsi alle masse, dove si trova chi vive nelle
banlieue, organizzare le masse perché la guerra popolare sia una
guerra di massa non un’episodica azione combattente di un gruppo.
L’azione combattente di un gruppo è la strutturazione
dell’organizzazione della rivolta di massa, della guerra di massa,
che – come dice Mao: “deve sfruttare appieno il nostro stile di
combattimento”.
E
che partito comunista pensiamo di costruire se non è un partito
comunista combattente, legato alle masse? A chi ci rivolgiamo quando
vogliamo costruire questo partito? Il partito maoista, il partito
comunista di nuovo tipo è e deve diventare il partito delle nuove
generazioni che con la loro ribellione aprono questo cammino. I
compagni che vogliono costruire questo partito devono legarsi e
legare a sé le nuove generazioni che hanno preso posto nella lotta
politica.
Anche
sulla questione del movimento contro il CPE, i compagni si lamentano
che la CGT e l’UNEF utilizzano questo movimento per le prossime
elezioni. Ma, cari compagni, bisogna certamente dare un indirizzo
classista e rivoluzionario al movimento degli studenti, ma questa
cosa non può avvenire senza una trasformazione della composizione di
classe di questo movimento. La direzione classista rivoluzionaria
comporta la partecipazione dei reparti avanzati della classe, della
gioventù proletaria, per una trasformazione all’interno del
movimento. Non si può combattere la Cgt senza costruire
l’organizzazione classista e combattiva di base dei proletari.
Il
Partito Comunista maoista è i cobas in Italia, il PCm è Red Block,
la gioventù rivoluzionaria organizzata, il PCm é il Movimento
Femminista Proletario Rivoluzionario.
Senza
questi fatti non è possibile costruire il partito comunista maoista.
Le
condizioni delle masse nei paesi imperialisti sono a questo punto per
la responsabilità dei revisionisti, ma non è solo questa la causa.
I paesi imperialisti sono anche pieni di falso maoisti, di compagni
che si definiscono “comunisti, rivoluzionari”, ma che non hanno
mai organizzato uno sciopero nella loro vita, che non sanno dove si
trova la Renault per dare un volantino o che hanno conosciuto le
banlieue solo attraverso le cartine che sono apparse sulla stampa
francese.
Noi
combattiamo l’opportunismo, ma anche i sinistrismi, il
rivoluzionarismo piccolo borghese, i rivoluzionari virtuali che
scrivono dei buoni testi su internet ma che nessuno ha visto nemmeno
una volta in una lotta. Allora, guerra popolare non è una frase, né
una bandiera, è una ideologia e un programma, una capacità di
trasformare la politica del partito in azione delle masse.
Naturalmente quando noi parliamo di guerra popolare, parliamo di
guerra popolare nei paesi imperialisti. I paesi imperialisti non sono
il Nepal, il Perù. Bisogna studiare, analizzare, approfondire i
paesi imperialisti nel loro insieme e i singoli paesi in cui i
comunisti operano, appropriarsi della storia del paese che ha
prodotto la situazione attuale, sia dal lato dell’imperialismo sia
dal lato del proletariato.
Noi
abbiamo due vantaggi. Noi non dobbiamo partire da zero. Primo,
contiamo sul patrimonio ideologico, politico e pratico delle guerre
popolari in Perù, in Nepal, ecc. ,
ma
verso di queste occorre avere l’atteggiamento che dice Mao:
“nell’imparare dagli altri si possono assumere due atteggiamenti
diversi: l’uno dogmatico, consiste nel prendere ogni cosa convenga
o no alle nostre condizioni, quest’atteggiamento non è buono.
L’altro
consiste nell’usare il cervello e imparare ciò che conviene alle
nostre condizioni, cioè assimilare ogni esperienza che possa esserci
utile. Questo è l’atteggiamento che dobbiamo assumere”.
Secondo,
noi siamo i figli del partito comunista più forte dei paesi
imperialisti che c’è stato negli anni che sono andati da Lenin ad
oggi. Siamo i figli di Antonio Gramsci che dalle prigioni del
fascismo disse che non è possibile rifare la stessa strada
dell’Ottobre, non perché egli non voleva l’insurrezione, ma
perché ricercava la strada giusta analizzando la realtà concreta
dei paesi imperialisti europei.
Noi
siamo i figli della Resistenza antifascista, grande esperienza ed
esempio di guerra di popolo in un paese imperialista. Prendiamo
lezioni, perché è un’esperienza di tutto un popolo e non di uno
scritto di un intellettuale.
Siamo
nel paese in cui è emersa e vissuta in anni prolungati l’esperienza
delle Brigate rosse, a cui negli anni ’70 aderirono 4000 operai,
mentre nello stesso periodo, gruppi e partiti che si definivano ml, e
in certi casi mlm, non sono riusciti a conquistare che poche decine
di operai – Questi grandi sostenitori delle teorie sulla “lotta
di massa”, la “linea di massa”, non sono riusciti a conquistare
settori significativi di avanguardie della classe operaia, perché
non hanno compreso che l’avanguardia operaia voleva un autentico
partito della rivoluzione capace di condurre la forma più elevata
della lotta di classe. Oggi il problema è come si organizza un
simile partito e come inizia una lotta rivoluzionaria autentica. Ma
tutto questo non può essere programmato e stabilito sulla base di
libri e a tavolino. Come abbiamo già detto nella relazione
introduttiva, il metodo principale che dobbiamo assumere è “imparare
a fare la guerra facendola…”, “spesso non si tratta di imparare
prima e agire poi ma, al contrario, di agire e poi imparare perché
agire è imparare”.
Il
proletariato scrive con il suo sangue la sua lotta, il suo cammino,
le sue tesi, il suo programma.
Le
Br hanno perso perché, come dice Mao, “...il nostro principio è
che il partito comanda il fucile e mai dobbiamo permettere che il
fucile comanda il partito”, e perché
“una
guerra rivoluzionaria è un’impresa di massa”.
Ma
dov’era il partito? Il partito non è un’altra cosa che il
fucile. Il partito deve guidare il fucile, bisogna leggere tutta la
frase. E questo è il cammino del PCm in Italia. Questa è la ragione
per cui il PCm ha deciso di organizzare - con i compagni di Drapeau
Rouge - questo Rencontre, per ‘mettere i piedi nel piatto’, qui a
Parigi dove il fuoco della lotta di classe si è acceso.
Lo
sappiamo bene che la rivolta francese riguarda tutti i paesi
imperialisti, così come il movimento contro il Cpe. Nel nostro paese
c’è una legge che è uguale, la Legge 30, che si chiama ‘Legge
Biagi’. A Roma come in Francia si lotta contro la precarietà,
contro l’attacco alle condizioni di vita dei proletari, dei
giovani. Questo è accaduto anche tra i giovani nelle banlieue,
perché le banlieue non sono solo un luogo dello “spirito”, ma un
luogo concreto, reale. Voi conoscete il sud d’Italia, compagni? Voi
sapete cosa significa il 60% di disoccupati? Una vita di giovani che
si consuma nella precarietà, una vita senza futuro, senza la
possibilità di fare nemmeno un viaggio.
Noi
questi viaggi li facciamo per dire e continuare a dire meglio di come
lo diciamo in questo momento: “Giovani, la via esiste!”,
“facciamo come nelle banlieue di Francia!”, “Ribelliamoci,
rispondiamo allo Stato di polizia e al moderno fascismo!”.
Sviluppiamo dalle banlieue del mondo, dalle banlieue delle metropoli
imperialiste l’accerchiamento delle cittadelle della borghesia
imperialista e della sua corte, attacchiamo la loro vita, costruiamo
la nostra guerra. La nostra guerra non è senza futuro e senza
obiettivi, e la nostra guerra non deve limitarsi a resistere al
potere della borghesia, la nostra guerra è per conquistare il nostro
potere, perché senza potere tutto è illusione.
Dopo
la rivolta delle banlieue noi queste cose le possiamo dire in maniera
più forte, con l’orgoglio, con la verità che noi cerchiamo nei
fatti. Mao dice “cercate la verità nei fatti”. La verità non è
il fatto in sé, ma l’analisi del fatto, sono i rapporti, le
relazioni, il perché questi fatti si sono realizzati, come si
influenzano l’un l’altro. E’ in questo modo che noi dobbiamo
analizzare la rivolta. E se noi lo facciamo, allora questo Rencontre
sarà servito a qualcosa. Grazie, compagni.
Conclusioni
Per
concludere, la realizzazione degli Atti di questo Rencontre sarà una
tappa importante del nostro lavoro e va visto come “lavoro sul
terreno”. La realizzazione degli opuscoli con gli Atti sarà
utilizzata in un lavoro simile a quello che ha preparato il meeting,
per permettere a tutti i compagni e alle avanguardie di leggere con
spirito militante ciò che vi è di utile in questo lavoro.
Questo
meeting è stata un’esperienza entusiasmante che ci dà forza e in
particolare gli ultimi interventi ci danno allegria, legata, però,
alla preoccupazione di mantenere le promesse. La storia dei maoisti
nei paesi imperialisti è piena di promesse tradite. Quindi, un
compito molto impegnativo, ma la verità e la validità di questo
lavoro bisognerà vederlo sul terreno, nei passi in avanti che si
dovranno fare nella pratica.
Pensiamo
di concludere questi lavori del meeting, esprimendo un saluto e una
dichiarazione di sostegno alla guerra popolare in Nepal che si trova
in una fase cruciale, gli occhi dei comunisti guardano a Katmandu.
Ma
noi diciamo che bisogna guardare a Katmandu come a Parigi, così
abbiamo intitolato il nostro messaggio del 1° Maggio e questo è
quello che porteremo domani alle manifestazioni del 1° Maggio.
Ma
domani 1° Maggio prevediamo anche un’altra iniziativa. Saremo a
Pere Lachaise al muro della ‘Comune di Parigi’. La Comune è
memoria e prospettiva anche di questa rivolta. Saremo, poi, anche
alla tomba di Pier Overnay. Noi che pensiamo di costruire il partito
comunista maoista nelle fila della classe operaia, non possiamo che
onorare e valorizzare la figura di un giovane operaio maoista
militante della Gauche Proletarienne, caduto sotto il fuoco di uno
sbirro aziendale.
Vogliamo
alzare la bandiera del diritto e della dignità dei maoisti a
costruire il partito.
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