Nessuno crede al suicidio: verità e giustizia per Mario
La drammatica notizia della morte di Mario Paciolla, cooperante napoletano di 33 anni, impegnato nella Missione di Verifica delle Nazioni Unite sul processo di pace in Colombia, si iscrive in una trama di violenza che va compresa a partire dalla sistematica violazione da parte del governo colombiano degli accordi di pace firmati nel 2016.
La drammatica notizia arriva dieci giorni fa, mercoledì 15 luglio alle 19.40, quando viene comunicato il ritrovamento del corpo senza vita di Mario Paciolla nella sua casa di San Vicente del Caguán, nella regione del Caquetá, nel sud del paese, dove lavorava per la Missione di Verifica delle Nazioni Unite impegnata nel sostegno al processo di pace.
Questa regione del sud della Colombia è stata per decenni una delle roccaforti delle FARC-EP, la principale e storica guerriglia colombiana che dopo oltre cinquant’anni di conflitto armato ha firmato nel 2016 a L’Avana gli accordi di pace con il precedente governo Santos, lasciando le armi e cominciando la transizione alla vita civile, con la formazione del partito politico FARC, la cui sigla significa oggi Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune. Come molte altre regioni del paese, il Caquetá si trova oggi investito da una ondata di violenza portata avanti dai gruppi paramilitari e dai narcotrafficanti che occupano i territori abbandonati dall’ex guerriglia, massacrando leader sociali e comunitari, contadini ed ex guerriglieri che hanno deposto le armi.
L’esperienza di Mario Paciolla come cooperante lo ha portato a conoscere e vivere in diverse aree del mondo, ma dal 2016 si trovava in Colombia, dove aveva collaborato fino al 2018 con le Peace Brigades International, organizzazione per i diritti umani che si occupa di accompagnamento e sostegno alle comunità e agli attivisti ed attiviste per i diritti umani in diversi dipartimenti del paese. In un comunicato, PBI chiede che venga fatta chiarezza sui fatti e ricorda Mario come “un amico straordinario per il suo impegno nella difesa dei diritti umani […] e con una grande passione per il suo lavoro”.
Le prime informazioni rese pubbliche dai media italiani e colombiani riportano la versione della polizia colombiana secondo cui il cooperante italiano si sarebbe suicidato: ma nessuno crede a questa versione.
Troppe cose non tornano: le ferite di arma da taglio ritrovate sul corpo e ai polsi di Mario, trovato impiccato in casa sua, le dichiarazioni della madre, che ha denunciato ai media come la scorsa settimana Mario le avesse raccontato di sentirsi molto preoccupato per le sue condizioni di sicurezza e di aver saputo qualcosa di molto grave che lo faceva sentire in pericolo, diverse testimonianze che parlano di tensioni con i capi missione, ed infine la sua decisione di tornare prima del previsto a Napoli (aveva già prenotato il viaggio per il 20 luglio).
Tutti questi elementi delineano uno scenario inquietante che esige risposte chiare, una indagine accurata ed una ricostruzione dei fatti che hanno portato alla sua tragica morte e delle responsabilità di tutti gli attori in campo.
Nell’appello che chiede verità e la giustizia, e che ha già raccolto oltre cinquantamila adesioni, si legge che Mario Paciolla «si sentiva con la famiglia confessando la sua apprensione per strani comportamenti di gente a lui nota che lo facevano sentire minacciato. Era chiuso in casa per le misure del contenimento del contagio Covid-19, aveva appena comprato il biglietto aereo per tornare in Italia, ma i sicari lo hanno raggiunto prima. La scena è stata ricostruita come suicidio per impiccagione. Più di un elemento smentisce questa ricostruzione. Per favore indagate su questa ennesima morte di un giovane italiano all’estero per mano di criminali.»
Verità e giustizia per Mario Paciolla
Nell’ultima settimana si sono tenute a Napoli le assemblee della campagna Giustizia per Mario Paciolla e solo in seguito alle denunce della famiglia e degli amici, sono arrivate le prime prese di parola istituzionali in Italia. Il sindaco di Napoli De Magistris ha chiesto massima attenzione sui fatti, chiamando il ministro degli Esteri Di Maio ed annunciando la disponibilità a incontrare la famiglia, mentre una interrogazione parlamentare è stata depositata dal parlamentare di Leu Erasmo Palazzotto ed il senatore Sandro Ruotolo ha chiesto un intervento forte e immediato nei confronti del governo colombiano.
Il Ministro degli Esteri Di Maio ha assicurato il “massimo impegno” ed ha annunciato il rientro della salma, avvenuto ieri, segnalando che ci sono tre diverse inchieste giudiziarie in corso, quella della polizia colombiana, quella delle Nazioni Unite e quella italiana. In attesa dei risultati dell’autopsia e delle novità che potrebbero arrivare dalla Colombia, familiari, amici e compagni di Mario hanno scelto il silenzio stampa, continuando però a fare pressione sul governo affinché sia fatta chiarezza sui fatti.
Caminantes – Centro Studi e documentazione sul Messico e l’America Latina, l’Aula Flex e lo spazio sociale Zero81 hanno inviato una lettera aperta al rettore dell’Università Orientale, dove Mario ha studiato e partecipato alle mobilitazioni studentesche dell’Onda, sostenendo che «l’Ateneo deve contribuire al più presto a sollevare pubblicamente gli aspetti oscuri della sua tragica morte prima che le procedure legali in Colombia compiano il loro corso in una direzione che potrebbe non essere orientata a fare giustizia e verità per lui, per la sua famiglia e per tutti noi».
Nella lettera, denunciano come «il processo di Pace in Colombia è anche osteggiato da parte dei settori militari che risultano coinvolti in uccisioni di ex guerriglieri e attivisti per i diritti umani e sociali. Mario è un figlio di questo Ateneo, dei valori che ambisce a trasmettere, della vocazione internazionalista e alla cooperazione dei suoi corsi di laurea».
Sempre il Centro Studi Caminantes, in una nota pubblicata su facebook, spiega che l’ONU svolge «il compito di fornire supporto e controllare gli avanzamenti nel processo di pacificazione in atto su alcuni temi come la sicurezza, lo sviluppo delle attività legate alla formazione e alla incorporazione delle ex basi della guerriglia, lo sviluppo dell’economia in grado di passare da una “agroindustria” della produzione di droga ad una agricoltura di sussistenza e “no narcos”. […]
Non sappiamo ancora cosa sia accaduto negli ultimi tempi a Mario e quali fossero le motivazioni che gli hanno fatto dire più volte ai suoi famigliari di voler tornare al più presto a Napoli […] pensiamo che debbano essere, in primis, i suoi “datori di lavoro” a partire dal responsabile della missione ONU in Colombia Carlos Ruiz Massieu a fornire quante più notizie e chiarimenti possibili circa la situazione che si viveva nella delegazione di Caqueta».
Sgomento per la morte di Mario e richiesta di verità e giustizia sono stati espressi anche dalla Rete Accademica Europea per la Pace in Colombia (Europaz) nata a sostegno degli Accordi di Pace e del lavoro del Sistema Integral de Verdad Justicia, Reparación y No Repetición, che ha manifestato la propria preoccupazione per il futuro della pace in Colombia. Gli ex combattenti dello spazio di reinserimento e riconciliazione di Miravalle, 61 uomini e 15 donne delle ex forze armate rivoluzionarie colombiane, che avevano conosciuto Mario nel suo ruolo di cooperante per la Missione delle Nazione Unite, hanno emesso un comunicato di condoglianze ricordandolo come «una persona fondamentale per la pace in questi territori» e ricordando come Mario li avesse sostenuti nei progetti sportivi di reinserimento attraverso le squadre di rafting degli ex guerriglieri.
Per comprendere le tensioni che hanno accompagnato gli ultimi giorni di Mario, fondamentale l’articolo di Claudia Julieta Duque (tradotto da Caminantes), pubblicato sul quotidiano colombiano El Espectador (poi ripubblicato anche sul Manifesto):
«Non erano trascorse 24 ore dalla consegna dell’ultimo rapporto (dossier) della Misión de Verificación delle Nazioni Unite in Colombia, quando una delle tue colleghe di lavoro ti ha trovato morto, amico mio poeta e giornalista, nella tua casa a San Vicente del Caguan. Quel rapporto doveva contenere le tue osservazioni come volontario (n.d.t. – Mario svolgeva un lavoro non volontario per conto delle Nazioni Unite) di quella organizzazione nella regione del Caquetà, però, così come hanno fatto con la tua morte, le Nazioni Unite sono state in silenzio».
«Conosco i tuoi contrasti interni con un’organizzazione che nel suo report del 2019 ha citato con un paragrafo di appena sei righe il bombardamento militare nel quale morirono 18 bambini/e arruolati dai dissidenti delle FARC ed alcuni di questi rimasero a terra, questo fatto causò l’uscita di scena dell’allora ministro della Difesa Guillermo Botero.
So che hai documentato più casi di questo tipo, così come lo sgombero forzato delle famiglie dei minori uccisi e gli omicidi di altri ancora. So che ti davano fastidio la leggerezza dei toni dei dossier dell’ONU, la relazione complessa di alcuni membri della Missione con la Forza Pubblica, la contrattualizzazione di civili che venivano dai ranghi militari, la passività di quell’organizzazione rispetto ai bombardamenti contro civili nel sud della regione del Meta (confinante col Caquetà) e l’aumento di omicidi selettivi di ex combattenti delle FARC».
La violenza nei territori
Se la Colombia sta tornando a livelli di violenza drammatica, è a causa delle scelte politiche di un governo di estrema destra che si oppone sistematicamente al processo di pace.
Il governo del presidente Duque è stato travolto in questi mesi da continui scandali di corruzione, di collusione e partecipazione a reti di narcotraffico, che hanno visti implicati vari esponenti (da poco è emerso uno scandalo che riguarda il fratello della vicepresidente Marta Lucía Ramírez), mentre diversi casi di stupri compiuti da militari (ultimo il caso di sequestro e stupro di una dodicenne indigena Embera), ed altri casi di familiari ed esponenti politici della maggioranza coinvolti in procedimenti per riciclaggio e compravendita di voti, violenze e massacri.
Questo governo neoliberale di estrema destra, continua a violare in modo sistematico gli accordi di pace – “Accordo Finale per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura” – firmati nel 2016 a L’Avana di Cuba con le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, e composto principalmente da sei punti: riforma rurale integrale, partecipazione politica, fine del conflitto, soluzione al problema delle droghe ad uso illecito, risarcimento delle vittime e, infine, procedure per la verifica e l’implementazione dell’accordo.
Sono proprio le implementazioni degli accordi previsti (dalla giustizia al reinserimento, dalla questione della terra alla riparazione delle vittime) ad essere disattesi sistematicamente dal governo Duque, in una paese estremamente diseguale dove il 46% delle terre più fertili e ricche è in mano allo 0,46% della popolazione. Lo stesso governo, nel 2019, ha anche interrotto unilateralmente i negoziati in corso con la seconda guerriglia del paese, l’Esercito di Liberazione Nazionale, che opera in diversi territori del paese ed ha dichiarato una tregua unilaterale durante la pandemia.
Mentre le violenze contro gli ex guerriglieri, leader sociali e indigeni stanno portando ad un vero e proprio massacro, l’intensificazione del controllo del territorio da parte dei paramilitari e del narcotraffico non si fermano nemmeno durante la quarantena.
Le formazioni paramilitari, veri e propri eserciti privati al servizio dei latifondisti e delle oligarchie, e i cartelli del narcotraffico, assieme all’assenza di misure governative in sostegno alla politica di sostituzione delle coltivazioni illecite, questione centrale degli accordi di pace, si contendono il territorio provocando un aumento esponenziale della violenza contro comunità indigene e contadine.
Una tendenza che rischia di riportare indietro la Colombia agli scorsi drammatici decenni, quelli delle fosse comuni e dei “falsos positivos”, le migliaia di giovani ragazzi, in particolare delle classi popolari, fatti sparire ed uccisi dall’esercito e poi presentati come guerriglieri caduti dall’esercito, gli anni delle violenze e delle minacce senza fine dei paramilitari, oggi ritornati sui territori, legati all’ex presidente, il senatore del partito di estrema destra Centro Democratico, leader ombra dell’attuale governo, Alvaro Uribe Velez.
L’ennesima ondata di violenza che si è scatenata in questi ultimi tempi Colombia, a differenza di quanto riportato in modo impreciso da alcuni media italiani, non dipende dagli ex guerriglieri delle Farc, che hanno scelto la via della pace, ma da trame più complesse e opache dove operano diversi attori armati e forze militari legali ed illegali, paramilitari, narcotrafficanti e le cosiddette dissidenze delle ex-Farc, un settore minoritario dell’ex FARC-EP che non hanno accettato gli accordi di pace e continuano nello scontro armato; questei attori si contendono il territorio, le miniere legali ed illegali, la produzione e controllo del commercio delle sostanze illecite, l’estensione delle monocolture e del latifondo.
In questo complesso panorama opera anche la guerriglia dell’ELN, l’Esercito di Liberazione Nazionale, che aveva iniziato le negoziazioni per la pace, poi interrotti dal governo, mentre nel 2019, poco più di due anni dopo la firma degli accordi dell’Avana, un gruppo di ex guerriglieri delle FARC è tornato alle armi, dopo aver denunciato come il governo Duque stesse disattendendo gli accordi di pace firmati dal precedente presidente Santos.
Ma la continuità della guerra, la vera minaccia per la pace in Colombia, si basa su una logica di governo, di comando e di accumulazione di potere composta dagli interessi militari ed economici delle élite economiche oligarchiche del paese, dagli interessi politici dei settori dell’ultradestra al governo, dalla complicità tra forze militari, forze paramilitari e narcotraffico, che combinano l’avanzata del modello di sviluppo basato sull’estrattivismo, lo spossessamento delle terre e il saccheggio delle risorse come dispositivi di accumulazione capitalistica.
In questo contesto di violenza è avvenuta la morte di Mario Paciolla, che come operatore dell’ONU lavorava proprio sul monitoraggio e il sostegno ad un processo di pace che il governo colombiano per primo sta facendo naufragare.
Il massacro dei leader sociali
Mario stava lavorando proprio in una delle zone chiave, cioè le aree rurali colombiane che la guerriglia ha controllato per più di quaranta anni e che, dopo il ritiro delle FARC avvenuti secondo gli accordi di pace, sono diventate un lauto pasto da sbranare per quell’intreccio violento fatto di capitalismo estrattivista, paramilitarismo, criminalità organizzata e copertura politica da parte dell’estrema destra. Sono rimasti a difendere quelle aree del paese attivisti e attiviste sociali e comunitari, e proprio per questo sono oggetto di esecuzioni, minacce e violenza inaudita.
Secondo il Centro Studi per la Pace Indepaz dalla firma degli accordi di pace fino al 15 luglio del 2020, sono 971 i leader sociali assassinati in Colombia, mentre sono 218 gli ex guerriglieri assassinati dopo aver lasciato le armi.
Per quanto riguarda il primo semestre di quest’anno, sono ben 166 leader sociali e 36 ex combattenti a essere stati uccisi, con un incremento pesante durante il periodo di isolamento obbligatorio e di quarantena ancora in vigore nel paese; inoltre, sono diversi gli attentati e le stragi che hanno colpito anche amici e familiari degli ex combattenti o dei leader sociali colpiti dai paramilitari. Intanto la Colombia sta attraversando un momento drammatico in relazione all’impatto della pandemia, con il sistema sanitario al collasso e della crisi economica che ha portato ad una vera e propria emergenza per fame nei quartieri popolari e nei territori rurali, i più colpiti dalla violenza (due terzi dei leader sociali assassinati sono contadini, afrodiscendenti e indigeni).
La continuità della violenza, in un paese dove tra il 1985 e il 2018 all’incirca 7,8 milioni di persone hanno dovuto abbandonare il loro luogo di residenza per spostarsi in altre zone del paese a causa del conflitto armato, è una costante della politica colombiana. Le speranze infrante del processo di pace che ha portato agli accordi faticosamente firmati nel 2016, e l’ondata di violenza che ha visto un aumento del 30% con il nuovo governo, assieme alla miseria strutturale e alla povertà crescente, sono state le questioni al centro delle proteste sociali e delle rivolte popolari che hanno preceduto l’irruzione della pandemia.
E’ in questo contesto che si iscrive la drammatica morte di Mario, ed è per questo che rivendicare verità e giustizia significa denunciare le trame di potere e violenza che si dispiegano in questi territori e colpiscono migliaia di uomini e le donne che provano a costruire un paese di pace e di giustizia e che per questo vengono minacciati, uccisi e perseguitati.
Denunciare l’impunità dei responsabili politici, militari e paramilitari della trama di violenze che si dispiegano nei territori dove Mario Paciolla ha lavorato fino a pochi giorni fa contribuendo generosamente al processo di pace, fino a perdere tragicamente la vita, significa contribuire a fare chiarezza sulle responsabilità della sua morte, in quei territori dove comunità indigene, organizzazioni di donne, contadini, ex guerriglieri e afrodiscendenti provano a difendere la possibilità di una vita degna a fronte dell’avanzata della logica devastante della guerra e dell’estrattivismo.
da DINAMOpress
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